WAGNER: L’OCEANO TRISTANIANO E IL RENO DELLE RHEINTÖCHTER COME MODELLI AGOGICO-MUSICALI di Pier Marco Turchetti



Pier Marco Turchetti

WAGNER: L’OCEANO TRISTANIANO E IL RENO DELLE RHEINTÖCHTER COME MODELLI AGOGICO-MUSICALI.

 

Das Sagen ist nämlich nicht nur der Ausdruck sondern

 die Realisierung des Denkens. So ist das Gehen nicht nur

 der Ausdruck des Wunsches, ein Ziel zu erreichen,

 sondern seine Realisierung.

WALTER BENJAMIN,  „Gut schreiben“ (in Kleine Kunst-Stücke)

 

 

Preparatis fustibus torquibusque ad fascem,

nunc fasciandi tempus incumbit.

DANTE ALIGHIERI, De vulgari eloquentia, Liber II; VIII, 1.

 

 

 

 

Ciò che opera nelle vastità dell’oceano attraverso il moto ondoso degli oscuri flutti prova il causa aequat effectum nell’accezione galileiana del principio: l’essenziale esiste in quanto produce effetti. Pertanto, prima ancora di essere oggetto d’intellezione, quel particolarissimo mondo fisico tanto metapsichizzato, è fatto oggetto del sentimento[1]. Verrebbe subito da asserire per via diretta che nella metaforica dell’elemento marino può insediarsi in modo proprio il Reinmenschliches del saggio wagneriano Oper und Drama, in quanto è nell’oceano tristaniano che la forza unitiva di principio maschile e femminile – die Liebe – trova la sua totale esplicazione e in un modo totalmente privo di connotati storici e di aspetti evenimenziali[2].

La metaforica dell’ambiente marino gode, in Wagner, di un trattamento poetologico di favore e, nell’esemplare distensione in pianissimo della Verklärung nel finale di Tristan und Isolde[3], assume lo statuto di un operatore teleologico. La cosiddetta “ambiguità” dell’accordo tristaniano, il suo essere un Zwitterakkord[4] poi, proprio se proiettata entro lo Spur des dichterischen Wortes della costellazione metaforica del mare tristaniano (qui il genitivo è felicemente oggettivo), traduce la lacerante anfibolia ontologica del mare orfico-romantico. Si aggiunga inoltre che dall’immagine dell’oceano “spirituale” che spira dal cadavere di Tristano dentro la patente Isotta giunge al testo più di una indicazione sonora: l’aggettivo verbale tönend (v. 2318) e l’aggettivo tönenden (v. 2338) concordato al dativo con Schall non rinunciano certo ad “affermare” testualmente ciò che la scrittura musicale sviluppa per via acustica. Per quanto non sappiamo con precisione filologica se e quando Wagner abbia letto Hölderlin, è comunque suggestivo accostare all’ estatico lamento di Isotta quell’hölderliniana caratteristica del mare che è groviglio di forza oblivionale e di istante rammemorativo[5] .

Nella tradizione orfica che perviene e penetra variamente tra i componenti dello Stift di Tübingen, quasi sempre fondendosi in un crogiulo in cui la dogmatica cristologica – παρούσια, condizione notturna dell’apparire divino e umanizzazione carnale del dio sono i punti di forza di tale riabilitazione mitica[6]– e che resta impigliata nel concetto di ambiguità dell’umano rispetto all’origine dello stesso, sono proprio le feconde profondità del mare a costituire un topos saliente.

Tuttavia, nel Wagner del Tristan und Isolde, la metaforica marina ha un rilievo schiacciante rispetto alla logica della scrittura e dell’effetto musicale. Parlare semplicemente di “associazioni marine” o di “metafore marine” come scrive Jean-Jacques Nattiez[7] è, oltre che riduttivo, oltremodo improprio, visto che se tali “associazioni” sono così frequenti nel saggio wagneriano Zukunftskunst (e nei libretti) esse avranno anche un valore poetologico da inquadrarsi entro una vera e propria metaforica. Non sono, in altri termini, soltanto delle “associazioni” in quanto non riflettono lo stile espressivo e retorico di Wagner ma i principi della sua estetica.

Al Dichter-Componist preme di prolungare il “processo di apoteosi”[8], di differire il punto decisivo della cesura tra tensione e distensione, sia esso da riferire ad un pianissimo sommesso o ad un fortissimo con strepito. La “tecnica reticolare”[9] del Wagner maturo ha come implicazione tecnica il differimento del punto culminante. Questo espediente compositivo è indispensabile per spiegare i cromatismi melodici (ed armonici) e le cadenze evitate, così come i lunghi pedali di tonica, i quali non rappresentano affatto né il crepuscolo involontario della linearità melodica à la Brahms, né tanto meno il pronto corredo tecnico atto a vestire e svestire la voce interna della scrittura pianistica schumanniana.

La caratteristica espressività lirica wagneriana, espressività completamente legata al testo e che fa cadere la tradizionale normatività del tema melodico a vantaggio dell’intervallo (e l’intervallo più caratteristico è quello di seconda maggiore ascendente o discendente) possono essere ben delucidate con l’analisi del Tristan e, ancor più, attraverso la lettura dei Wesendonk-Lieder, in particolare di Träume, la Studie zu Tristan und Isolde in La bemolle[10].

Nell’Abbozzo di una nuova estetica della musica (1910) Ferruccio Busoni individuò nel particolare arco di tensione agogica di Wagner quel “modello cumulativo della forma ad onda, intensionibus ac remissionibus[11] che si incarica di concretare nel ritmo del dramma, più che il ritmo della vita, aggiungiamo noi, il ritmo dell’originario, in tutta la sua portata sensualistica. Sul piano della testualità il punto culminante (Höhepunkt) è persino alluso nel verso 2320, dove si legge che la Wonne (klagend/(…)aus ihm tönend/in mich dringet) “si libra verso l’alto” (auf sich schwinget).

Se provassimo di applicare il concetto statistico-operativo della Schlagfigur[12] constateremmo, con ogni probabilità, quanto una delle figure dominanti come “terzina (di croma) contro croma puntata e semicroma, terzina, terzina” o anche “terzina (di croma), duina, terzina, duina, terzina” siano funzionali all’intenzione di differire la stasi o il silenzio del gesto ritmico nell’asimmetria (che è un elemento chiaramente drammatizzante). Non è sostenibile, a proposito della poetica wagneriana del gesto, la famosa e famigerata, se pur seducente e dialetticamente stringente, tesi adorniana, in base alla quale, il “momento dell’inautenticità nell’espressione wagneriana” sarebbe da ascrivere alla ripetizione identica, coattiva del gesto, al suo non essere mai propriamente sviluppabile e intermittente quanto gli interventi dell’orchestra che con il suo battere resta indifferente al tempo, sino al punto che “l’eternità della musica wagneriana, simile a quella ch’è nel poema del Ring, è l’eternità del nulla-è-successo; quella di una invariante che smentisce tutta la storia attraverso la natura muta”[13].

Ma come in ogni saggio adorniano[14], anche nel Versuch über Wagner, attraverso gli interstizi e i pertugi della sua costruzione fitta, concentrica e solida brillano pensieri fecondi, facile preda di un lettore che abbia già imparato a “raspare” con l’intelletto critico.

In particolare c’è una metafora che attraversa, apparentemente a caso, queste ragnatele testuali. La metafora è un abduzione poco ramificata, un caso di catacrèsi sviluppata a ritroso in forma di analogia esplicativa che riprende una metaforica ampiamente riconosciuta anche nell’uso italiano (si pensi ad espressioni come “l’ondeggiare del corpo del danzatore…”). Essa è svolta in una similitudine a due posti, volutamente piatta e definitoria: “Il gesto che s’allarga s’è chinato sul corpo: il suo sfasciarsi ricorda l’onda. Perciò forse i gesti musicali di Wagner si assomigliano alla danza, e le ripetizioni motiviche ne usurpano la simmetria: poiché solo come danzatori possono gli uomini imitare le onde”.[15]

Nei versi conclusivi (vv.2337-2344) della Verklärung Wagner esibisce una delle manifestazioni più spiccatamente poetologiche del suo Stabreim:

In dem wogenden Schwall,

in dem tönenden Schall,

in des Weltatems

wehendem All, ―

ertrinken,

versinken, ―

unbewusst, ―

höchste Lust![16]

Wagner medesimo[17], rispetto alla creazione di Tristan und Isolde[18], ha collocato per la prima volta su d’un piano paritetico musica e poesia[19], riabilitando la prima che non appare più come semplice completamento della Dichtkunst: il tessuto di motivi non viene dunque più (per usare una espressione mistico-generativa alquanto ricorrente in Zukunftsmusik) “fecondato” dall’elemento poetico. In ogni caso, lo stile poetico di questi versi merita, ovviamente, di essere ben setacciato. Il procedimento di progressiva sottrazione che porta da Schwall a Schall, poi ad All deve essere pensato in senso fonetico e in senso semantico. L’emissione fonetica di Schwall e Schall non rende percepibile in maniera chiara e distinta i due gruppi consonantici Schw- e Sch-, tanto più che la scrittura musicale della Verklärung, in generale e qui con più convinzione, prolungando le durate delle vocali, accentua già in Schwall il suono d’eco cosmico-redentivo di All. Dobbiamo anche rilevare che il passaggio da Schwall a Schall con la caduta della –w non è affatto casuale, soprattutto se si tiene in considerazione il valore fonetico-simbolico che questa consonante riveste nel cantato delle Figlie del Reno, nella prima scena del Rheingold.[20]

D’altra parte, la parola “più ontologica”, il termine della pienezza d’essere per eccellenza, il contenitore della varietà dei fenomeni, All, è il lemma più corto, quello graficamente più contratto. Wogenden e tönenden rappresentano a loro volta i due aggettivi propri (descrittivi) rispettivamente di Schwall e Schall: questa loro ovvietà semantica fa sì che non si avverta il profondo scarto concettuale con il successivo in des Weltatems/ wehendem All.

Il penultimo verso (2341) è occupato dal solo unbewusst. Sul senso di questo aggettivo verbale agiscono due occorrenze linguistiche che in precedenza hanno sancito l’unio mistica di Tristano e Isotta. Sono il bewusst[21]pronunciato da ambedue gli amanti nel momento saliente della reciproca contemplazione amorosa e lo ein-bewusst[22] che compare al termine del duello d’amore. L’arco di tensione semantica segnalato da bewusst – ein-bewusst – unbewusst è l’espressione più compiuta del passaggio dal dominio del giorno (in cui regna la lacerante e dolorosa coscienza dell’uomo) al regno della notte (che libera da ogni angoscia per mezzo della Liebe).

Nella sua pur conchiusa e coerente trattazione[23] lo storico della musica Massimo Mila esemplificava il Tristano e Isotta come “il poema della passione amorosa e della notte, intesa come simbolo dell’annientamento nella morte, cara agli amanti, cui è invisa la nemica luce del giorno”[24]. Dimenticava però di indicare quell’ illustre antecedente che tanta presenza ha proprio nel governo di tali tematiche in Wagner: il Novalis[25] delle Hymnen an die Nacht (1800)[26]. I musicologi (e tra questi il primo è Prüfer 1906) hanno insistito soprattutto sul rapporto tra il duetto d’amore del Tristan e le Hymnen novalisiane e poi sulla tematica, comune ai due poeti, del Liebestod come motivo risolutore degli affanni del mondo diurno.

Noi crediamo, oltre tali rilievi filologici, che dei riflessi della lingua poetica di Novalis possano essere legittimamente rintracciati anche entro i versi finali della Verklärung di Isolde. In particolare non sfugge noi di dover evidenziare come materiale suscettibile di una curiosità linguistica squisitamente wagneriana taluni passi della prima delle Hymnen an die Nacht. In primo luogo, in apertura delle Hymnen, Novalis getta in discredito la visione diurna e luminosa del mondo da parte del vivente, qualsiasi esso sia[27], con tre periodi sovraccarichi di incisi, che sono subito seguiti, per opposizione, dall’ invocazione alla geheimnisvolle Nacht. La descrizione del allerfreuliche Licht è giocata intorno a parole e locuzioni che si rinvengono sparsamente nei versi finali del Tristan e che assolvono al compito di connotare tanto l’immagine del Tutto oceanico quanto di riflettere l’agogica musicale (sia della voce che dell’ orchestra). Il Licht dal quale i notturni amanti novalisiani devono distaccarsi ha tra i suoi attributi caratteristici Farben e Strahlen ma, soprattutto Wogen. Ora, con il lemma Wogen (o wogenden Schwall) il tessuto testuale della Verklärung d’Isotta non manca di sottolineare l’ebbrezza dell’indeterminato e la perdita dell’identità soggettiva degli amanti.

Secondo Novalis all’uomo è ardua impresa sottrarsi alla màlia del Licht. E non sono tanto i suoi colori e i suoi raggi a renderlo seducente ma le sue onde. Anche nel passo wagneriano che andiamo leggendo il moto ondoso ha una valenza estetica rilevante: le onde fluttuanti sono paradigma metaforico del totale rapimento dei sensi, dello sprofondamento di Verstand e Gefühl nell’Uno-Tutto primigenio della morte. Siffatto sprofondare[28] ha un carattere risolutore e liberante, è l’ultima e più estrema tappa metaforica di quella Erlösung su cui Wagner ha elaborato tanto la sua antropologia antistoricista ed individualista quanto una estetica musicale che ha tra i suoi punti fermi la fluttuazione tonale e il differimento del punto culminante.

Ancora più decisivo per il nostro raffronto è forse il fatto che il Licht novalisiano prenda, per così dire, le “movenze” dell’orchestra-oceano wagneriana: esso, difatti, schwimmt tanzend in seiner blauen Flut (nuota danzando nel suo flutto azzurro). Infine, l’uomo (Novalis lo definisce “lo splendido intruso”, der herrliche Fremdling), destinato ad albergare in terra sotto la regia della luce pur tendendo ad altro grembo, ha in suo possesso “labbra ricche di suono” (tonreichen Lippen): dalle labbra “voluttuosamente miti”[29] di Tristano, Isotta sente spirare una Weise, la melodia che il morto Tristano le suggerisce attraverso i suoi sembianti, quella melodia che aus ihm tönend,/ in mich dringet[30].

Sia Novalis che Wagner mettono in rilievo ciò che dell’organo fonatorio può dirsi carnale. Tuttavia, la metonìmia di Novalis individua come qualità intrinseca delle Lippen il loro essere “ricche di suono” mentre la metafora wagneriana della melodia che spira dal morto e inspira il lamento redentore ci porta sul terreno della spiritualità del soffio come φωνή. Quest’ultimo richiamo alla matrice platonica del “suono significante” non è affatto peregrino. Nella φωνή vita e idea si trovano unite poiché essa è il segno della presenza attuale ed insieme della temporalità come orizzonte di senso di ogni presenza attuale[31].

Portiamo ora la nostra analisi sul terreno di prova del Rheingold. La composizione della prima opera della Tetralogia fu terminata il 15 gennaio del 1854 (lo documentata la lettera di Wagner al suo devoto sostenitore Franz Liszt, scritta nello stesso giorno). L’intero mito dell’Oro del Reno dovrebbe essere interpretato sulla scia della mitopoiesi romantica, con particolare riguardo per quel “fantasma dell’errare” che “in Wagner (…) rinvia ad un tempo del desiderio che implica il suo stesso annientamento. Infatti questo desiderio si trasforma in invidia, che attacca e rischia di distruggere l’oggetto desiderato. Interviene allora una reazione analoga a quella malinconica: la difesa contro questi attacchi consiste nel «perdere l’oggetto», rendendolo così indefinitamente inaccessibile”[32].

Il Ton wagneriano del Rheingold “profuma” di Stimme e lo possiamo constatare dalla melodia in pentatonica (la tonalità è il mi bemolle) intonata da Woglinde, la prima delle tre Figlie del Reno a calcare la scena, dopo il Vorspiel[33]. Woglinde nuota in cerchio intorno ad uno scoglio delle acque fonde e tenebrose del Reno e canta:

  Weia ! Waga !

Woge, du Welle,

walle zur Wiege !

Wagala weia !

Wallala, weiala weia ![34]

Più che la nascita della musica, questo formidabile turbinìo di variazioni vocaliche attorno all’asse verticale della consonante W, segna la nascita dell’armonia primordiale. La W simboleggia l’elemento marino, l’armonia vera e propria, da cui scaturisce in lento processo la linea melodica fluttuante e “ribollente”. I gruppi consonantici –ell, e –all sono, e non è un caso, costituiti da consonanti “liquide”. I nomi delle tre Figlie del Reno sono composti su radicali che richiamano alla fluidità dell’acqua (Woge in Woglinde, Welle in Wellgunde, fliessen in Flosshilde). “Il cambiamento del nome delle sorelle, che nella bozza in prosa del marzo 1852 si chiamavano ancora Broolinde, Flosshilde e Wellgunde, dimostra chiaramente che Wagner ha perseguito un fine preciso”.[35]

La nascita del linguaggio “avviene” tra le misure 137 e 165. Woglinde (raffigurazione simbolica della Tanzkunst) dopo essersi unita a Wellgunde (=Tonkunst) lascia che quell’iniziale lingua – espressione del reiner Gefühl – possa “specializzarsi” ed elevarsi con l’introduzione delle consonanti sorde del cantato di Flosshilde[36] (espressione della Dichtkunst). Dunque le tre arti del Wort-Ton-Drama si sono riunite e questa fusione è avvenuta sul piano dell’azione scenica, della conduzione musicale e, fatto forse più importante, in quanto ci suggerisce come Wagner non abbia “tradito” la sua vocazione di estremo rinnovatore dell’arte del libretto, mediante il tessuto fonetico-linguistico di una scrittura mitopoietica.


[1] Abbiamo qui menzionato gli organi gnoseologici di intelletto e sensazione non certo per inquadrare forzatamente i nostri demonstranda entro la cornice terminologica della filosofia kantiano-schilleriana. In realtà lo stesso Wagner sottolinea in Oper und Drama (1852) come dal tema mitico soltanto (del quale è presupposto antropologico ed etico il concetto di Reinmenschliches) possa essere estratta una Verwandschaft tra l’intelletto e il sentimento: »das, wodurch der Verstand dem Gefühle aber verwandt ist, ist das Reinmenschliche, das, was das Wesen der menschlichen Gattung als solchen aus macht. An diesen Reinmenschlichen nährt sich das Männliche wie das Weibliche, das durch die Liebe verbunden erst Mensch ist.« [Trad. it. nostra: “tuttavia ciò per cui l’intelletto è affine al sentimento è il puramente umano, ciò che stabilisce l’essenza del genere umano in quanto tale. Di questo puramente umano si alimentano la maschilità e il femmineo che soltanto se congiunti ad opera dell’amore fanno l’uomo.”] Cfr. Oper und Drama, Stuttgart, Reclam 1984, p. 243. Nella lettura del passo sopra citato non sfugga l’accezione carnale del verbunden che indica, e non a caso è al participio passato, l’unione per accoppiamento, né tanto meno la locuzione durch die Liebe, complemento di mezzo che dà un ruolo preminente e decisivo a questo sentimento “creatore di comunità”. Oltre al confronto obbligato con il materialismo di Feuerbach e l’individualismo anarchico di Stirner, ci sembra di dover evidenziare quanto il dettato di Wagner sia lontano dalla drastica formulazione dialettica che l’Hegel della Phänomenologie des Geistes (1807) offre a proposito della sittliche Welt: »Die Vereinigung des Mannes und des Weibes macht die tätige Mitte des Ganzen und das Element aus, das, in diese Estreme des göttlichen und menschlichen Gesetzes entzweite, ebenso ihre unmittelbare Vereinigung ist, (…)« [Trad.it. nostra: “L’unificazione del maschio e della femmina costituisce il termine medio attivo del Tutto e l’elemento che, sdoppiato in questi estremi della legge divina e  di quella umana, è ugualmente la sua unificazione immediata”]

[2] Il modello programmaticamente astorico del Wagner articolista, all’altezza della metà del suo secolo (Leipzig 1813-Venezia 1883) è soprattutto quello di Jean Paul. Al Wagner di quel periodo succede quello che accade al Walt delle Flegeljahre: »Als ein Epos strömte das Leben unter vor ihm hin« [La vita gli sfilava innanzi come un’epopea ] Cfr. J. P. Richter, Die Flegeljahre, München, Swan Buch-Vertrieb 1994, p. 212. 

[3] Le date della composizione sono le seguenti: primo atto nell’ autunno-inverno 1857-8 (Zurigo), secondo atto nell’estate-autunno del 1858 e la primavera del 1859 (Zurigo-Venezia), il terzo atto nell’inverno del 1858-9 e la primavera-estate del 1859. La prima rappresentazione avvenne sotto gli auspici di Luigi II di Baviera il 10 giugno 1865. La prima italiana si tenne a Bologna il 2 giugno 1888.

[4] Cfr. K. Mayrberger, Die Harmonik Richard Wagners an den Leitmotiven des Vorspiels aus „Tristan und Isolde“ erläutet, Bayreuth, Burger 1881. Op. cit. in Jean-Jacques Nattiez, Wagner androgyne. Essay sur l’interpretation, Paris, C.Bourgois 1990. Trad. it. Wagner androgino. Saggio sull’interpretazione, Torino, Einaudi 1997, p.328.

[5] Il riferimento è ad Andenken, vv.56-7: »(…) Es nehmet aber / und gibt Gedächtnis die See«.

[6] Cfr. M. Frank, Der kommende Gott. Vorlesungen über die Neue Mythologie, Frankfurt am Main, Suhrkamp 1982. Trad. It. Il dio a venire. Lezioni sulla Nuova Mitologia, Torino, Einaudi 1994. Vedi in particolare al capitolo 9 intitolato Dioniso e Hölderlin l’excursus ricostruttivo sulla concezione misterica del primo idealismo tedesco che Frank antepone all’analisi, purtroppo solamente tematica, di Brot und Wein.

[7] Op. cit., Wagner androgino, p.62.

[8] Cfr. Enrico Mancini, La misteriosa apoteosi. Psicologia del punto culminante nella musica, Milano, Franco Angeli 1998, p. 37.

[9] Cfr. «Diether de la Motte, Kontrapunkt – Ein Lese- und Arbeitsbuch, Kassel, Bärenreiter 1981. Trad. it. Il contrappunto, Milano, Ricordi 1991, pp. 362-7»

[10] Cfr. Massimiliano Lopez, Il laboratorio del Tristano, in Pianotime. Mensile di musica e pianoforte. Dicembre/Gennaio 1992/93, n. 114, pp. 45-8.

[11] Cfr. Mancini, op. cit., p.37

[12] Cfr. G. Becking, Der musikalische Rhytmus als Erkenntisquelle, Ausburg, Filser 1928. La Schlagfigur è la figura ritmica dominante, caratteristica di ogni grande compositore. Essa è facilmente rinvenibile nel particolare gesto ritmico della mano con cui l’ascoltatore accompagna la musica nell’atto dell’ascolto. Becking ideò delle Becking-Kurven proprio allo scopo di individuare e catalogare le Schlagfiguren più tipiche.

[13] Cfr. Theodor W. Adorno, Versuch über Wagner, Frankfurt am Main, Suhrkamp 1952. Trad. it. Wagner. Mahler, Torino, Einaudi 1966, p. 49.

[14] C’è un suo aforisma (n. 129, Parte Terza) nei Minima moralia che ironizza con caustica inclemenza sul fatto che Wagner abbia anticipato il meccanismo autarchico dell’ideologia dell’industria culturale. Qui merita di essere riportato almeno lo Schlussteil: “Nell’arte questo incantesimo culinario è stato inventato da Wagner, le cui intimità linguistiche e droghe musicali si degustano – per così dire – da sé, e lo stesso Wagner, sotto l’obbligo geniale della confessione, ha spiegato l’intero procedimento nella scena dell’ Anello in cui Mime offre a Sigfrido la pozione avvelenata. Ma chi taglierà la testa al mostro, da quando esso giace col ciuffo biondo sotto il tiglio?”. Cfr. Theodor W. Adorno, Minima moralia. Reflexionen aus dem beschädigten Leben, Frankfurt am Main, Suhrkamp 1951. Trad. it. di Renato Solmi, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, Milano, Mondatori 1954.

[15] Vedi nota 13.

[16] Trad. it. nostra: “Nell’ ondeggiante flusso,/ nel risonante suono,/ nell’alitante tutto/ del respiro del mondo, –/ affogare, / sprofondare, –/ inconsci, –/ supremo piacere!”.

[17] In una lettera del 15 settembre 1883 dice espressamente: “Nelle altre opere, i motivi servono l’azione, qui, si può dire che l’azione sgorga dai motivi”. Riportato in Wagner androgino, op. cit., p.154.

[18] La composizione intrapresa a partire dal dicembre del 1856 venne terminata nell’agosto del 1859. Documentare le letture ispirative del Tristan è cosa ardua. Tuttavia una influenza diretta l’ebbero sicuramente le letture di Gervinus sulla storia della letteratura tedesca in epoca medioevale e la lettura della Phänomelogie des Geistes di Hegel, avvenute ambedue a cavallo del 1845-6. Cfr. Maurizio Giani, Un tessuto di motivi. Le origini del pensiero estetico di Richard Wagner, Torino, De Sono-Paravia 1999, pp.167-8 e 175-6.

[19] Nel celebre Zukunftsmusik (settembre 1860) si trova un passo emblematico che stabilisce una “uguale e reciproca penetrazione della musica e della poesia come condizione di un’opera d’arte capace di produrre nel momento della rappresentazione scenica, una impressione irresistibile”. Riportato in Wagner androgino, op. cit. p. 149.

[20] Vedi più avanti a p. 7 di questo breve contributo critico.

[21] Cfr. »Isolde! Tristan!/ Welten entronnen ,/ du mir gewonnen!/ Du mir einzig bewusst,/ höchste Liebeslust!« [Atto I, scena V, vv.778-82]

[22] Cfr. »Ohne Nennen,/ ohne Trennen,/ neu Erkennen,/ neu Entbrennen;/ endlos ewig/ ein-bewusst:/ heiss erglühter Brust/ höchste Liebeslust« [Atto II, scena II, vv. 1436-43]

[23] Cfr. «Massimo Mila, Breve storia della musica, Torino, Einaudi, 1963, pp.243-50» Anche se il Mila non si profonde in scialbe nomenclature quali “il Wagner schopenaueriano” e simili non è comunque dispensato da quello che dovrebbe essere l’obbligo morale del divulgatore intelligente: non citare (male) idee altrui (pessime). Ci riferiamo al seguente passo: “Ingegnosamente è stato osservato (dal Bekker) che questo concetto di redenzione – ossia di liberazione catartica da qualche peso o impedimento spirituale – più ancora che derivare a Wagner da una particolare concezione della vita, doveva imporsi inconsciamente a lui come equivalente psicologico della vicenda di riposo, tensione e distensione, che sta alla base dell’armonia in tutta la musica romantica.”.

[24] Cfr. «M. Mila, op. cit., p. 249»

[25] Reinhard Gerlach ha documentato l’influenza della teoria novalisiana degli stadi di coscienza sul Wagner degli scritti rivoluzionari, influenza “mediata almeno attraverso i Kleisleriana di Hoffmann”. Cfr. «Maurizio Giani, op. cit., nota 64, p.318 »

[26] Cfr. «A. Prüfer, Novalis Hymnen an die Nacht in ihren Beziehungen zu Wagners Tristan und Isolde, in L. Frankenstein (a cura di), Richard Wagner Jahrbuch I, Leipzig, Deutsche Verlagsachtiengesellschaft 1906, pp.290-304»

[27] L’attacco delle Hymnen an die Nacht incorre nel soggetto grammaticale, in costruzione retorica a risposta negativa »Welcher Lebendige(…)«. “Quale vivente…”.

[28] Cfr. il versinken del verso 2342.

[29] Cfr. »Wie den Lippen / wonnig mild (…)« [Atto III, scena III, vv.2305 e seg.]

[30] Cfr. vv. 2318-9.

[31] Sia detto in termini più esplicitamente husserliani: l’unità del mondo della vita passa per la riduzione trascendentale che la forma della φωνή rende possibile.

[32] Cfr. «Carlo Lo Presti, Franz Schubert. Il viandante e gli inferi. Trasformazioni del mito nel Lied schubertiano, Università degli Studi di Torino, Le Lettere 1995, p. 44»

[33] La scrittura musicale del Preludio esemplifica in maniera tutt’altro che stilizzata il fatto che Wagner voglia indurre nel pubblico il sentimento del divenire della musica a partire dallo Ur-Ton. Entro le 136 misure complessive emerge un tema in mi bemolle che con un andamento fluttuante, wogender, teso ad evocare l’arcana potenza poietica del Reno, procede per quinte ed intervalli di seconda. Il progressus armonico è supportato dalla duplicazione quasi graduale delle figure e del ritmo delle misure (con la chiara accelerazione del processo di “saturazione” ritmica alle battute 49-52). Pare dunque evidente come la partitura abbia il compito di essere mimetica rispetto alla scena e all’immaginario imperniato sull’elemento acquoreo. Perciò il mito della musica coincide con la sua genesi in ambiente marino-fluviale. D’altra parte Cosima Wagner, il 27 maggio 1871, aveva appuntato la seguente annotazione: «Questa mattina parliamo di musica, “è l’elemento nel quale ogni cosa è inghiottita, l’elemento liquido”.» In un passo della Zukunftskunst Wagner afferma che il poeta deve emergere «dalle profondità dell’oceano dell’armonia alla sua superficie, dove sono celebrate le affascinanti nozze del pensiero poetico creatore con la facoltà di generazione infinita della melodia»

[34] Cfr. »Das Rheingold, Scena I, vv.1-5« [Trad. it. nostra: “Daia ! Dela!/ Dòndola tu onda,/ ribolli in culla!/ Dobolla, daia !/ Donda, daiala daia!] Traduzione coraggiosa, diranno taluni. Noi abbiamo cercato di ascoltare la forza dell’italiano e di comprendere cosa possa fare il continuum del ritmo, del corpo-linguaggio. Il nostro imperativo traduttologico era, in prima battuta, negativo: evitare di tradurre la lingua, di fermarsi a ciò che in tedesco viene enunciato attraverso il segno (il discontinuo). Il gesto “ippocratico” della traduzione sta invece nell’offrire una possibilità al nostro attuale italiano da traduttori di trovare ritmo e allusività. Questa filosofia del tradurre non è comunque un parto nostro. Essa ha altro nome e cognome: Henri Meschonnic.

[35] Cfr. «J.-J. Nattiez, op. cit., p. 64»

[36] Cfr. ibid., 5-18, Scena I.

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